Videosorveglianza illecita anche se vi è il consenso dei dipendenti.
Le aziende che intendono installare sui luoghi di lavoro un qualsiasi impianto di videosorveglianza hanno l’obbligo di munirsi di un’apposita autorizzazione, rilasciata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro. La pillola legale a cura dello Studio Legale Tessari.
L’azienda che occupa anche soltanto un dipendente, qualora intenda installare sui luoghi di lavoro un qualsiasi impianto di videosorveglianza (anche una sola telecamera, con o senza monitor e/o registrazione) ha l’obbligo di munirsi di un’apposita autorizzazione, rilasciata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
In mancanza di tale autorizzazione, l’installazione delle telecamere è reato, e resta tale anche se vi è il consenso dei dipendenti.
Lo ha scoperto a proprie spese, il titolare di un bar gelateria, “colpevole” di aver fatto montare, nel proprio locale, alcune telecamere di sorveglianza, al fine di poter vedere dal bancone la presenza di eventuali malintenzionati all’ingresso, a seguito di ripetuti furti ed aggressioni.
Gli autori di tali furti ed aggressioni non sono stati individuati, e quindi le loro azioni sono rimaste impunite.
Il barista è stato invece processato e condannato, in primo grado ed in appello, per l’installazione delle videocamere; la condanna è stata infine confermata dalla Cassazione.
A nulla è valso all’esercente rilevare che l’installazione non avesse in alcun modo il fine di sorvegliare i dipendenti ma, piuttosto, quello di proteggere gli stessi dipendenti dagli aggressori.
A nulla è valso dimostrare che i dipendenti, debitamente informati, non si erano minimamente opposti.
La Suprema Corte ha infatti ritenuto che il consenso dei singoli lavoratori all'introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo sia sempre viziato, e quindi invalido, perché il lavoratore potrebbe sentirsi in obbligo morale di accettare pur di non perdere il posto di lavoro.
La Cassazione ha poi chiarito che, per condannare l’esercente in ordine alla videosorveglianza dei lavoratori, non serve dimostrare che le telecamere abbiamo effettivamente ripreso i lavoratori: si tratta infatti di un ‘reato di pericolo’, commesso con la mera installazione dell’impianto.
L’esercente non si salva dunque neanche dimostrando che l’impianto venga fatto funzionare solo in orario di chiusura del negozio, o addirittura non sia proprio mai attivato.
Chi voglia tutelarsi con la videosorveglianza non ha dunque alternative se non chiedere l’autorizzazione all’Ispettorato; l’autorizzazione viene rilasciata a seguito di istanza in doppio bollo, presentata su apposito modulo (INL 17) e formulata corredata da documentazione comprendente -tra l’altro- la descrizione delle caratteristiche tecniche delle telecamere interne ed esterne installate; l’indicazione del numero di monitor di visualizzazione e loro posizionamento; la precisazione della fascia oraria di attivazione dell’impianto; e dei tempi di conservazione delle immagini; la documentazione delle specifiche e modalità di funzionamento del sistema di videosorveglianza, comprensiva di planimetria dei locali.
Ottenuta, con i consueti tempi tecnici, l’autorizzazione dell’Ispettorato, la trafila burocratica continuerà con gli adempimenti burocratici previsti dalla normativa sulla privacy, che per la videosorveglianza sono particolarmente rigorosi.
A questo punto l’esercente potrà finalmente accendere le telecamere e sperare di difendersi dai ladri. Sempre che questi ultimi siano stati così cortesi da attendere la conclusione dell’iter burocratico prima di colpire di nuovo…
Avvocato Francesco Tessari - Studio Legale Tessari