Confcommercio Toscana: "il terziario reagisce con grande dignità a questa terribile emergenza"
Il direttore regionale Franco Marinoni: per salvare imprese e occupazione servono liquidità a costo zero, meno burocrazia e aiuti strutturali”. Dal lock down una spinta ad accelerare l’innovazione digitale. Ma il timore è che molte aziende rischiano di non riaprire.
Liquidità a costo zero per resistere a questo periodo di forzata inattività e poi ripartire quando l’emergenza sanitaria sarà passata. È questo che chiedono le imprese del terziario, in estrema sintesi. “Tutte le misure di aiuto fissate dal Decreto Cura Italia vanno bene, ma sono semplici palliativi soprattutto se la situazione, come sembra, non è destinata a cambiare rapidamente. Ci sarà bisogno di ben altro per salvare imprese e occupazione”, sottolinea il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “in questo esatto momento, c’è bisogno soprattutto di liquidità su cui poter fare affidamento senza dover pagare oneri aggiuntivi. Poi di una semplificazione burocratica che pare ancora una chimera su tutti i versanti. E c’è bisogno anche di scongiurare il pericolo dei protesti, che hanno conseguenze durature e gravi: la prassi degli assegni post datati non è regolare ma è molto diffusa tra imprenditori e fornitori di fiducia. Il problema è che se prima si riusciva ad onorarne il pagamento, ora sarà difficile, impossibile per qualcuno. Contiamo quindi che venga approvato l’emendamento presentato in Parlamento, che prevede un posticipo al 30 giugno di tutti i titoli in scadenza ora”.
“Le imprese toscane stanno reagendo alla crisi con grande dignità”, prosegue il direttore della Confcommercio regionale, “ma se la crisi si allunga, i danni economici cresceranno e molte rischiano di non riaprire se non si interviene subito con misure di aiuto strutturali. Chiudere un’azienda per poi pretendere che riparta dopo settimane o addirittura mesi, come nulla fosse, non è come spengere e riaccendere un televisore! Ha perfettamente ragione Mario Draghi quando dice che questa è una guerra, o almeno un evento con conseguenze simili a quelle di una guerra. A pagarne lo scotto non possono essere solo le imprese e i lavoratori. Deve essere lo Stato a farsene carico, senza ambiguità e ipocrisie”.
Gli imprenditori che hanno dovuto interrompere la propria attività a seguito dei vari Decreti legge che si sono succeduti, stanno impiegando questi giorni per sbrigare diverse pratiche: “rinegoziare il mutuo con la propria banca e il contratto di locazione con i proprietari del fondo, contattare i fornitori per ottenere una dilazione dei pagamenti o rinviare la merce al mittente”, elenca Marinoni, “per chi ha dipendenti, poi, ci sono le pratiche per accedere alla cassa integrazione guadagni ordinaria o in deroga. Insomma, nessuno sta con le mani in mano. Tutti cercano di salvare il salvabile”.
Purtroppo qualche impresa è arrivata ad affrontare il lockdown legato al Covid-19 già con il fiato corto, secondo Confcommercio Toscana, “penso ad esempio ai negozi della moda, che vengono da anni di magra, fra contrazione progressiva dei consumi e aumento della concorrenza anche online e trattano prodotti legati alla moda e quindi a vita breve, deperibili ne più ne meno come generi alimentari!”
“Per qualcuno che invece viveva una fase di grande espansione, l’emergenza sanitaria ha messo un’ipoteca pesante sul futuro. Tutte le imprese legate al turismo, dai pubblici esercizi alle strutture ricettive, dalle agenzie di viaggio alle guide turistiche, si trovano di fronte un futuro molto incerto perché nessuno può dire quando le cose torneranno ad ingranare per il settore, anche una volta passata l’emergenza. Di sicuro per diverso tempo dovremo lavorare sul mercato interno e di prossimità”.
Secondo l’indagine effettuata da Format Research per Confcommercio Toscana e presentata nel febbraio scorso, appena prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria, le imprese toscane di commercio, turismo e servizi (114mila) garantiscono il 75% del Pil regionale (per un valore di 77 miliardi di euro) e il 64% dell’occupazione con 718mila lavoratori impiegati (+68mila dal 2010 al 2019). “Sono dati importanti, che devono far capire quanto sia urgente trovare misure di sostegno per far sì che il terziario continui a dare il suo contributo all’economia toscana”, sottolinea Marinoni.
Sul versante degli alimentari e dei negozi di generi considerati di prima necessità (come elettronica, ferramente, ecc) la crisi in atto ha ribadito il valore sociale – oltre che economico – delle botteghe di vicinato. “Fare la spesa sotto casa è diventata una comodità e una sicurezza per tanti cittadini, che così possono limitare gli spostamenti, anche perché molti commercianti fanno consegne a domicilio come usava un tempo. Certo, non è un bel lavorare, perché si convive con il rischio e si deve porre grande attenzione a rispettare tutte le regole per preservare la salute di clienti e addetti. Peccato che negli ultimi dodici anni (dal 2008 al 2019) solo le città capoluogo di provincia toscane abbiano perduto circa 1.300 negozi che forse, oggi, sarebbero stati utili”.
Nel terziario in generale, la crisi obbliga le imprese a spingere l’acceleratore sui temi dell’innovazione: “chi non lo ha ancora fatto deve attrezzarsi per superare questo periodo con gli strumenti offerti dalla tecnologia. Sito web, social, ecommerce e poi consegne a domicilio: se per tutti “a da passà ‘a nuttata”, che almeno passi aiutandoci a crescere”, dice il direttore di Confcommercio Toscana.
Intanto, dall’ufficio studi della Confcommercio nazionale arrivano le prime proiezioni sugli effetti del lockdown a causa del coronavirus nel breve-medio periodo. “Con il protrarsi delle chiusure delle attività produttive e di quelle del terziario - come il commercio, il turismo, i servizi, i trasporti e le professioni - e con la prospettiva che questa situazione si prolunghi nel tempo, la situazione economica e il calo dei consumi sono destinati a peggiorare. E, nella difficoltà di prevedere a breve il ritorno ad una situazione “normale”, rischia di saltare la previsione più ottimistica che era quella della “riapertura” dell’Italia a giugno che avrebbe comportato, per il 2020, la perdita di 1 punto di Pil e 18 miliardi di consumi. Si fa, quindi, più realistica l’ipotesi della riapertura del Paese solo all’inizio di ottobre, con una riduzione dei consumi di oltre 52 miliardi e un calo del Pil di circa il 3%, stime che incorporano anche gli aiuti stanziati con l’ultimo decreto”. In quest’ultima ipotesi i settori che saranno più colpiti sono: alberghi e ristorazione (-23,4 miliardi di consumi nel 2020), trasporti e acquisto autoveicoli (-16,5 miliardi), cultura e tempo libero (-8,2 miliardi), abbigliamento (-6,6 miliardi).
“È evidente – secondo il direttore della Confcommercio Toscana– che tutte le misure annunciate dalla Bce per evitare che dal settore reale la crisi migri a quello finanziario, così come i diversi interventi progettati a livello internazionale per assicurare un movimento ordinato del rendimento dei titoli sovrani dei diversi Paesi, non potranno evitare la recessione, ma ne mitigheranno l’impatto favorendo le condizioni di ripresa una volta superata l’emergenza sanitaria”.